Alla sfida delle cure nei pazienti anziani oncologici
il 5 x 1000 della Fondazione Piccinini
“Quanto tempo mi ci vorrà prima di tornare alla normalità?” “Per quanto tempo darò da fare ai miei parenti prima di essere nuovamente autonomo?” “Per quanto tempo la mia testa resterà scossa dopo l’anestesia generale?” Quesiti che si pone chiunque debba essere sottoposto ad un intervento chirurgico per un cancro; quesiti le cui risposte sono ancora troppo poco studiate quando si riferiscono a pazienti anziani.
Contemporaneamente i numeri dicono che la popolazione mondiale sta progressivamente invecchiando e che nel 2030 il 70% per cento dei tumori solidi saranno diagnosticati in pazienti anziani. “L’80 per cento dei nostri pazienti anziani – affermava la famosa geriatra oncologa Arti Hurria, troppo presto scomparsa- sostiene che preferisce mantenere memoria e lucidità di mente, piuttosto che semplicemente sopravvivere”.
La tematica complessa della cura del cancro nel paziente anziano, valutando il recupero funzionale post chirurgico o post chemioterapico è al centro di un vasto ed innovativo progetto di ricerca promosso dalla Chirurgia di Faenza (Ausl Romagna) in collaborazione con l’Istituto di Ricerca sul cancro di Meldola (IRST), assieme alla Società Europea di Chirurgia Oncologica (ESSO) e alla Società Internazionale di Oncologia geriatrica (SIOG). Esso vede coinvolti una trentina di dipartimenti chirurgici tra Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Olanda, Norvegia, Grecia, Polonia eccetera. Ad aprire la strada fu il professor Lodovico Balducci, piacentino trapiantato prima a Rimini e poi in Florida, che negli Stati Uniti ha fondato il primo programma di oncologia geriatrica nel mondo e ha istruito in questa specialità professionisti provenienti da tutti i continenti. Per l’importanza dei suoi studi e per l’attenzione all’umano, il professor Balducci ha ricevuto nel 2014 il Premio Enzo Piccinini.
“I pazienti anziani non sempre sono sottoposti a trattamenti oncologici adeguati alla loro età” spiega il prof. Giampaolo Ugolini, primario chirurgo all’Ospedale Infermi di Faenza (RA). “Talora si eccede con trattamenti che, in alcuni pazienti fragili, rasentano l’accanimento terapeutico. In altri casi i soggetti anziani sono sotto-trattati, per un pregiudizio legato alla loro età”. Da alcuni anni, nel suo Ospedale, un’equipe (di cui fanno parte anche un’infermiera “case manager”, una geriatra e gli oncologi diretti dal dr. Stefano Tamberi, che nel suo percorso formativo al Policlinico S’Orsola ebbe la possibilità di incontrare il dr. Piccinini) procede ad una valutazione complessiva dello stato di fragilità prima di intervenire sui “nonni”.
“Il cancro allo stadio iniziale può spesso essere operato anche se un paziente è anziano. La chirurgia può migliorare la qualità della vita del paziente, ma è importante farla con tecniche poco invasive e valutando accuratamente la vulnerabilità dei pazienti prima di operarli. Noi dobbiamo tenere conto anche delle preferenze del paziente” prosegue Ugolini, e racconta la storia di una settantenne con gravissime metastasi, che aveva come obiettivo principale riuscire a conoscere la nipotina, che sarebbe nata sei mesi dopo. Nonostante molte perplessità dell’equipe, la donna venne sottoposta ad un grande intervento a scopo palliativo. Ebbene, ha conosciuto la nipotina e, contro ogni aspettativa, l’ha vista anche spegnere la prima candelina.
Un’altra faccia della ricerca riguarda la “preabilitazione”. Seguendo una strada aperta dall’anestesista di origine italiana Francesco Carli, attualmente alla McGill University di Montreal (Canada), si cominciano a raccogliere dati su quanto meglio un paziente reagisca all’intervento chirurgico o alla chemioterapia se prima gli sono stati migliorati gli altri parametri fisici: nutrizionali, fisiatrici e psicologici. I dati preliminari finora in possesso dimostrano una grande potenzialità nel ridurre i tassi di complicanze dei trattamenti con recupero funzionale più celere e più ampio.
La Fondazione Enzo Piccinini (di cui Ugolini fu devoto allievo ed amico) ha deciso di devolvere a questi progetti di ricerca il 5 per mille di quanti, da quest’anno, vorranno indicarla nelle loro prossime dichiarazioni dei redditi. Negli ultimi 15 anni, il 5 per mille assegnato alla Fondazione ha contribuito a far camminare, insieme all’Università di Bologna, il progetto sui marcatori molecolari nel sangue per la individuazione precoce dei tumori del colon retto. Il positivo esito di tali ricerche fa sì che oggi ci siano industrie farmaceutiche pronte a completare il lavoro, rendendo possibile ciò che Enzo prevedeva in passato: “In futuro i medici toglieranno il lavoro ai chirurghi, perché saranno loro a poter individuare tempestivamente i tumori”.
La nuova destinazione che la Fondazione Enzo Piccinini ha individuato va nella stessa direzione tracciata da Enzo: la scienza medica al servizio della persona nella sua completezza; tanta, tantissima tecnica, ma anche uno sguardo simpatetico verso l’uomo che c’è dietro al paziente.
intervista a Gianmpaolo Ugolini della Fondazione Enzo Piccinini