Eliseo Manzotti, un eroe di guerra

Il 30 settembre scorso ci ha lasciati Eliseo Manzotti, papà di Fiorisa e suocero di Enzo.
Aveva compiuto 100 anni lo scorso 8 dicembre: un’età ragguardevole, forse raggiunta perché il suo fisico era stato temprato dall’esperienza terribile vissuta durante la guerra. Ce la racconta sua pronipote Francesca.

Quando il nonno Eliseo mi ha raccontato la sua storia incredibile mi sono veramente emozionata. Per questo desidero farvela conoscere.

Eliseo Manzotti, secondogenito di sei fratelli, nasce l’8 dicembre del 1922 ad Ancona. A soli sedici anni entra in Marina, e partecipa alla Seconda Guerra Mondiale dal 1942 al 1945. Tornerà a casa solamene dopo un viaggio drammatico attraverso tutta l’Europa.

Dalla città di Ancona, dopo essersi arruolato in Marina, viene inviato in Grecia, ad Atene, nel luglio del 1942, e lì resterà fino al settembre del 1943. La Seconda guerra Mondiale è scoppiata ormai da tempo: Eliseo lavora al porto, ogni giorno vede sempre lo stesso panorama: navi da guerra che salpano per la battaglia e naufraghi che ritornano al porto dal mare Egeo, sfiniti e massacrati.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre, Eliseo è costretto a scegliere se continuare a combattere al fianco dei tedeschi o tornare a lavorare in Italia. Scegliendo la seconda opzione non avrebbe in realtà fatto ritorno in Italia, ma sarebbe diventato prigioniero dei tedeschi. Eliseo ne è al corrente, ma pur di non combattere a fianco della Germania, sceglie comunque la prigionia. Viene caricato su un carro bestiame, assieme ad altri 60 uomini che, viaggiando per quindici giorni senza mai una sosta, giungono nel campo di lavoro di Aagerapp, in Polonia, ai confini con la Lituania. Successivamente viene trasferito nella città di Zagan, dove lavora come tornitore, e poi in Slovacchia a Zwittau, fino all’8 maggio del 1945, il giorno dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando gli americani e i sovietici riescono a sconfiggere l’esercito tedesco.

Eliseo, finalmente libero, cerca di raggiungere un consolato italiano, prima a Vienna e poi a Praga, in cerca di aiuto per tornare in Italia. Ma trova i consolati deserti, e capisce che non ci sono alternative se non quella di incamminarsi a piedi verso l’Italia. Recupera una cartina e con quella traccia la via del ritorno. Ben presto numerosi italiani si uniscono a lui, e pian piano il gruppo si fa sempre più numeroso: diventano più di cento. Non passano perciò inosservati e i soldati russi presenti a Benesou, in Cecoslovacchia, li catturano e li conducono in un campo di raccolta da dove sarebbero poi stati condotti in Siberia.

Ai partigiani Cecoslovacchi era affidato il compito di sorvegliare il campo di raccolta: questi pur collaborando con i soldati russi non provano simpatia verso di loro. Eliseo si confida con uno di loro per capire se e come scappare. C’è una sola possibilità: raggiungere gli uffici dello Stato Maggiore Sovietico, per incontrare il capo dei Partigiani Cecoslovacchi e chiedergli un “lasciapassare” con cui uscire dal campo. Allora Eliseo raccoglie abiti con cui travestirsi da partigiano, si fabbrica lo stemma dei partigiani (una stella rossa con disegnata sopra la falce e martello), lo fissa sul berretto e così vestito raggiunge di soppiatto la palazzina dello Stato Maggiore, ignorato dai soldati russi. Lì incontra il capo dei Partigiani e ottiene il “lasciapassare” per tutti gli italiani.

Nel frattempo però, il campo di raccolta veniva smobilitato e iniziava la lunga marcia dei prigionieri verso la Siberia. Eliseo non trova più nessuno, ma non si perde d’animo: trova un passaggio su un camioncino dell’esercito sovietico e raggiunge il convoglio. Qui inizia ad urlare a tutti gli italiani di uscire dalle file in forza del lasciapassare che gli era stato consegnato. Ne raduna più di cento che, liberi, iniziano il viaggio di ritorno a due a due, per non dare nell’occhio. Viaggio percorso quasi tutto a piedi, passando da Brno (Cecoslovacchia), Villach (Austria) e poi attraversando le Alpi Orientali fino all’ingresso in Italia.

Dopo poco più di un mese raggiunge Ancona a bordo di un camioncino carico di patate. Nella piazza centrale della città intravede suo padre, ma decide di non chiamarlo: era più di un anno che i suoi cari non ricevevano notizie; perciò teme che l’emozione nel vederlo all’improvviso gli possa causare un malore. Allora contatta alcuni amici che preannuncino alla famiglia il suo imminente arrivo a casa.

Qualche anno dopo sposerà Ornella ed avrà una figlia: Fiorisa, la mamma di mia mamma Anna Rita.
Questo era mio bisnonno: un eroe.

Francesca Bernardi