Senza Enzo non sarei la persona che sono ora

Come avete conosciuto Enzo?

Alessandra e Silvio Guerra

Mi sono iscritto al corso di Laurea di Lingue e Letterature Straniere a Bologna. Enzo lo vedevo ogni martedì a messa e in occasione di assemblee del CLU. Non posso dire che lo conoscevo perché per più di 2 anni mi stava proprio antipatico. Anzi, mi era abbastanza insopportabile. Sapevo che era il responsabile della comunità di Bologna ma la sua aria saccente m’indisponeva. Non parliamo quando saliva sull’altare, alla fine della messa, per fare un secondo sermone! Preciso anche che venivo da un’esperienza scout, ben lontana dallo spirito di Enzo.

Dopo 3 anni di questo tormentone, un martedì, disse: “siamo tutti dei monaci!”. Questa frase, mi fulminò e mi aprì gli orecchi e il cuore. Poi continuò dicendo: “perché monaco, viene dal latino monos, cioè uno. Nella vita siamo tutti unici”. Da quell’istante mi conquistò e cominciai ad avere una simpatia per Enzo.

Lo incontrai per la prima volta, il 16 agosto 1988. Dovevo partire per Parigi in Erasmus per un anno. Volevo fare una tesi sugli scrittori francesi, da Claudel a Mauriac. Alcuni amici mi avevano consigliato di andare a parlare con lui. Non mi ricordo bene cosa mi disse. Mi parlò molto della Francia e della situazione della comunità. Dopo quest’incontro, non ci siamo più persi di vista

Come ha inciso nella vostra vita personale e professionale?

Ho la certezza che se non avessi incontrato Enzo non sarei la persona che sono ora né avrei costruito nella mia vita ciò che grazie al suo incontro, alla sua amicizia per me e Alessandra, alla vita che ha dato per noi ho potuto realizzare.

Nel ’90 mi chiese se volevo rimanere a Parigi per aiutare un’insegnante di religione nelle scuole cattoliche. Dissi di sì più a Enzo che alla proposta che mi aveva fatto. Nei mesi successivi, poi, ho cominciato a cercare lavoro come insegnante di religione e d’italiano. Questo mi ha permesso di sposarmi, decidere di rimanere a Parigi e fondare una famiglia. La sua compagnia non ci ha più lasciati, nonostante i suoi numerosi impegni e responsabilità. “Bisogna entrare nella scuola francese”. Questo giudizio-profezia mi ha accompagnato e guidato per più di 30 anni nell’insegnamento. Da 4 anni sono preside di una scuola paritaria francese. Credo di essere l’unico preside italiano di tutta l’Education Nationale. Questo lo devo a Enzo e alla sua amicizia.

C’è un episodio in particolare che volete ricordare?

L’ultima volta che ci siamo visti a Parigi è la prova che il Mistero esiste. Enzo veniva spesso, ogni 3-5 mesi, per seguire le operazioni di trapianto del professor Park all’ospedale Saint Antoine. Era un professore che stimava moltissimo. Quando poteva veniva a trovarlo per confrontarsi con la sua tecnica chirurgica. A febbraio del 1999, si era programmato una settimana per rimanere a Parigi. Mi aveva chiamato, prima che arrivasse quasi ogni giorno per ripetermi sempre la stessa cosa: “guarda che arrivo. Ho sistemato tutto. Ho spostato tutti gli incontri. Vengo lì e sto una settimana intera”. Solo che alla vigilia, andò a Bari e giocando a calcetto, si ruppe il dito mignolo. Catastrofe. Mi chiama: “non vengo più” Devo riprogrammare tutto. Ti faccio sapere”. Dalla voce era molto addolorato. Dopo qualche giorno, mi chiama Daniela (la sua segretaria) e mi dice che sarebbe arrivato il martedì mattina all’aeroporto e che aveva assolutamente bisogno di me. Soprattutto di andarlo a prendere in macchina per portagli la borsa che con il gesso al braccio non riusciva a portare. Purtroppo, però era il giorno in cui passavo l’esame scritto di abilitazione. Dovetti declinare l’invito.

La mattina partii per il concorso e non so per quale ragione mi sbagliai di stazione della metropolitana. Arrivai nella sala d’esame 5 minuti dopo l’inizio della prova e trovai le porte chiuse. Senza indugio né rammarico chiamai Daniela per annunciarle che ero disponibile ad andare a cercare Enzo in aeroporto. Infatti, arrivai proprio quando sbarcava e passai con lui gran parte della giornata in ospedale (fuori dalla sala operatoria). Abbiamo cenato a casa e la mattina dopo colazione. Abbiamo anche una foto sua mentre abbraccia i nostri figli con il braccio ingessato. Durante tutto il giorno, non si dava pace per il dito mignolo fratturato. Ripeteva: “com’è possibile avevo preparato tutto. Tutto era a posto. Mi ero programmato una settimana spostando tutti gli impegni. E tutto mi è saltato per questo mignolo”.

Allo stesso tempo era sereno e felice di ritrovarci e litigare con Alessandra.

Alessandra: qui intervengo io perché sì, litigavamo spesso sui valori deontologici professionali. Lui ragionava da chirurgo: c’è un problema, basta tagliarlo. Io da psicologa: tengo conto delle circostanze psichiche che attraversano gli stati umani … Quando veniva sul mio campo, non accettavo le sue affermazioni! Curare degli amici? Mai! Intromettersi nei problemi di coppia? Assolutamente no! Fare amicizia con gente che non sopporto o con i miei pazienti? Inconcepibile. E così eravamo arrivati ad un punto quasi di rottura e io non volevo più vederlo. Allora lui si è imposto ed è venuto una sera (l’ultima volta che l’abbiamo visto!) per “parlarmi”. Lo scambio/scontro con lui, non più al livello professionale, ma personale mi ha totalmente sciolta e trasformata. Era come se sentissi il mio cuore fin lì duro e chiuso, sciogliersi e rinascere in una infinita tenerezza. Non ricordo niente di quello che mi ha detto, non una sola parola, ma ricordo del suo sguardo, mi sono sentita guardata da lui nel mio desiderio, nel mio bisogno, malgrado le mie ferite e attese incolmabili. Non mi ha portato soluzioni, ma Enzo c’era, era lì con me, mi ha accompagnata standomi accanto e ascoltandomi e facendomi capire che il mio problema era anche il suo. E questo mi ha travolto. Ed è quello che ho rivissuto dopo con altra gente del movimento. E allora ho capito che è proprio questo il carisma del movimento. Questa compagnia portata da un amore incompressibile che si trasmette tramite alcune persone … E allora da quel giorno non dicevo più “voi del movimento” ma ho cominciato a parlare alla prima persona “io del movimento”. E la mia prospettiva sulla vita è cambiata.

Cosa dice ancora oggi Enzo?

Senza l’esempio di Enzo non saprei cosa vuol dire nella mia vita, nella mia vocazione e nel mio lavoro, essere padre. La sua paternità era ed è una continua provocazione a non accontentarsi mai né dare per scontato nulla. “Bisogna amare la Francia” mi ripeteva in continuo. “Ma tu ami la Francia?”. Non so da dove gli era saltata fuori questa frase. Probabilmente, penso l’aveva sentita dire da don Giussani.

Amare per Enzo non era appena un sentimento né un’astrazione. Era un dono totale di sé. A tal punto che mi aveva “obbligato” a diventare tifoso del Paris Saint Germain! Purtroppo, qui non ce l’ho fatta. Perdonami ancora una volta, Enzo!

Fondazione Enzo Piccinini