L’amicizia di Enzo, una passione per la persona

Incontro con Jesus Carrascosa, Responsabile Internazionale di Comunione e Liberazione, Bologna 21 novembre 2006

Lo scorso 9 gennaio ci ha lasciato Jesús Carrascosa, per tutti Carras. Militante in un movimento anarchico-cristiano, grazie all’incontro con don Giussani a metà degli anni 70 ritornò alla Chiesa e diede inizio all’esperienza di CL in Spagna. Nel 1997 venne chiamato in Italia da don Giussani per collaborare alla nascita del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione, di cui fu direttore per quasi 10 anni.
Nel 2006 venne invitato a Bologna dal Gruppo Amistad per offrire una testimonianza su Enzo e sull’amicizia fra loro.
Vi riproponiamo quel testo, documento potente e bellissimo della grandezza umana e cristiana di Carras.

Sono molto lieto di condividere con voi questa mattinata di domenica, significativa, perché è un dono potersi trovare per parlare di un amico, per guardare un amico; un amico che ci fa guardare non indietro ma in avanti. Noi, infatti, non viviamo nella nostalgia: è invece una forza che cresce ogni giorno e ci fa andare avanti.

Questo Gruppo Amistad*, che conosco adesso, penso sia una bella cosa. Avevo visto in Venezuela (ho questa responsabilità di visitare le nostre comunità all’estero) queste suore. Andare a Caracas era facile, adesso con Chavez non lo è più.

La sorella di Enzo è a Humocaro, che è alla fine del mondo, un postaccio. Li, però, hanno un convento bellissimo, un convento che ha progettato un nostro amico del movimento, un architetto, un grande architetto, un professore di architettura all’Università: Bernardo Moncada, un personaggio: ha fatto questo convento bellissimo, con un’architettura moderna veramente notevole.

A Bernardo dico sempre: “Tu sei fortunato: questo convento che hai fatto è la tua salvezza, ti risparmierà un po’ di Purgatorio, se dovesse toccarti; hai fatto questa cosa così bella, intelligente, con il significato del divino nell’umano. Le forme curve, bellissime, che sono il divino; le forme rettangolari che sono l’umano. È una simbologia bellissima. Poi ci sono gli spazi per il lavoro delle suore trappiste e quindi è un luogo allegro.”

Ad Humocaro è così. ‘C’è gente poverissima. La prima volta che ho parlato con loro parlavamo spagnolo e mentre parlavo pensavo che era gente cosi rustica, così elementare, così contadina, con i calli nelle mani e la pelle bruciata, perciò facevo attenzione alle parole che usavo perché non ero sicuro che sapessero leggere, e perciò usavo parole molto semplici. Però allo stesso tempo mi dicevo: che cosa sto facendo? Mi veniva il pensiero di Gesú con gli apostoli: anche gli apostoli erano come questi! Erano gente bruciata dal mare, bruciata dal sole del mare della pesca, senza cultura, senza niente. Tutto è partito da gente così. Questo mi colpiva tanto. Poi quella gente ha scoperto il carisma di Giussani, anche li, attraverso Suor Chiara Piccinini.

Sono un gruppo di suore, tra cui Madre Cristiana, che è stata Badessa ventiquattro anni a Vitorchiano, poi è stata eletta Priora del convento di Humocaro. Questa Madre è in equilibrio con suor Chiara, che è un “terremoto”. È colei che tiene insieme tutto e lo mantiene nel suo giusto luogo. È gente molto centrata – non sempre è così nei monasteri, nei luoghi di missione –.

Per Madre Cristiana, I’ “ora et labora” benedettino non si può sbilanciare: se lavori troppo o non lavori, va male; se lavori molto e preghi poco, va male; mentre Humocaro è in grande equilibrio grazie alla guida sicura di Suor Cristiana. Hanno fatto una fabbrica con macchine per fare la pasta, che vendono e distribuiscono là; i distributori chiedono di produrre più pasta, e madre Cristiana dice: “No, noi facciamo la pasta che si fa nelle ore del lavoro, e lavoriamo sei o sette ore e basta. Se ci fossero delle macchine che nelle sette ore producono di più, allora si, però noi non possiamo, non vogliamo lavorare più di questo. La nostra vocazione è questa.”

Gente molto equilibrata e nello stesso tempo gente che ha educato, perché la grande carità è l’educazione. Questo è il tema di questo anno. Perché questi contadini hanno cominciato a fare la scuola di comunità, hanno cominciato a scoprire che quello che facevano (io ho insistito molto) doveva servire a loro. Deve servire a voi, perché se non serve a voi, se serve agli altri va bene per gli altri, ma non va bene per voi, no? E quindi si sono entusiasmati.

Vi posso dire che quello che voi fate, l’adozione a distanza, io ho sempre fatto fatica a capirla bene: mi sembra che sia un “colino” dove i soldi possono sfuggire dalle vostre tasche, perché è poco meno che incontrollabile. Di solito viene gestita con costi altissimi, mentre i missionari la fanno a costi bassissimi perché è tutto lavoro volontario. L’abbiamo visto, no? Invece la gente ha perso il cervello, in modo tale che sono attratti dalla solidarietà e dalla filantropia, perché si fanno affari. Vi faccio un esempio: solo per visitare un pozzo di acqua che hanno fatto, vanno in tre e dormono nel migliore albergo spendendo molto soldi, mentre i missionari per amore di Cristo fanno quelle cose lì tante volte nella loro vita, rimettendoci i soldi di tasca propria.

E la gente si stupisce di questa solidarietà e di questi volontari, come Madre Teresa…
Humocaro è così. A Humocaro, per esempio, ho visto preparare i pacchi per i bimbi perché tanti, tantissimi genitori sono ubriaconi, e allora se dai loro i soldi li consumano in due giorni in alcool; allora a Humocaro ho visto portare i pacchi affinché arrivino veramente ai bambini senza che le offerte possano essere dilapidate o perse.

In questo senso vi posso dire che lì la carità è il frutto di una educazione delle persone da parte di suor Chiara, che segue Madre Cristiana, e poi delle altre suore (ho conosciuto Suor Anna, un’altra italiana splendida); insomma un gruppo di italiane dell’altro mondo che hanno educato e tirato su le suore venezuelane “alla grande”.
Questa era la prima cosa che volevo dire al vostro gruppo: cosa succede con quello che voi fate. Quindi così vi ho raccontato di suor Chiara e di quel convento, che è molto prezioso.
La seconda questione: tutto questo per noi ha rapporto con Enzo. Il fatto che mi colpisce di più è che quello che noi viviamo è più forte della morte. Enzo viveva, ha consegnato la vita a Cristo, e Cristo non lo ha deluso: non ha deluso lui, né ha deluso i suoi.

Questa è una cosa che quando venivo a Bologna mi colpiva molto.

Enzo l’ho conosciuto presto perché quando venivamo in Italia noi avevamo sempre una norma, che era questa – premetto che allora non esisteva il satellitare e parlavamo del “periscopio” –: che occorre verificare sempre e mettere a fuoco con il periscopio dove c’è la vita, dove c’è qualcosa che si muove dal quale poter imparare. Eravamo molto predisposti a questo tipo di osservazione, e allora inviavamo qualcuno a vedere, a vivere quella esperienza perché tornasse e ce la raccontasse. Ed Enzo per noi spagnoli era uno che era sotto osservazione, perché era uno da cui si poteva imparare. E poi era un laico, uno che si guadagnava il pane.

Inoltre, l’ho raccontato tante volte, una volta che ero in Africa, a Kampala, vedevo degli europei che erano lì per lavorare con il computer. A cena con loro, parlando con uno di loro, ho domandato: “E tu di quanti medici sei amico? Quanti africani frequenti? Dove sono i tuoi amici africani?” E questo mi ha detto: “Io faccio il mio lavoro, lavoro in ufficio e quando smetto, basta. Nel movimento ci hanno insegnato che noi facciamo le cose attraverso il lavoro e se capita che io conosco uno li, va bene, altrimenti quando smetto basta. È il lavoro, il lavoro fatto bene.”

Mi ricordo che venni a Bologna e poi andammo assieme al Consiglio di Presidenza. Era un martedì. Enzo lavorava, faceva tante ore di sala operatoria e poi smetteva. Anche lui smetteva, e quando smetteva prendeva la macchina e andava a Milano o se non andava a Milano stava con la gente lì; oltre al lavoro pare che facesse altre cose – anche Cesana fa il suo lavoro, ma poi fa anche tante cose e non soltanto questo –.

Mi ricordo quel viaggio in auto con Enzo (era l’inizio dei cellulari, dei telefonini). Lui aveva appena smesso un intervento chirurgico che ancora non era finito, mancavano le ultime cose, era uscito e in macchina parlava al telefono di come i suoi collaboratori lo stavano concludendo: non era uno che smetteva e se ne fregava di quello che poteva capitare. E se ben mi ricordo diceva: “Sta bene? Le condizioni sono buone?” Poi aggiungeva: “Attenti, se c’è qualche complicazione, che non lo tocchi tizio! Per carità, che tizio non lo tocchi perché è un incompetente.”

Quindi mi ricordo quel viaggio in modo indimenticabile, per questo motivo.
Ricordo benissimo la passione con la quale lui viveva la professione, viveva il lavoro. Come tutto il resto, la sua vita era per costruire Cristo. E anche la famiglia: perché io mi ricordo che la famiglia non era un freno, grazie alla moglie che ha avuto.

Volevo dire che la vita per queste persone si è compiuta, perché hanno avuto le mogli, e poi i figli sono venuti bene – questa è un’altra costante –. I figli sono venuti bene! E i figli non li possiamo programmare, perché c’è la libertà di mezzo: è una cosa che ti sfugge totalmente, è una cosa incontrollabile. Questo fa parte del centuplo quaggiù… ma ora Enzo se ne frega del centuplo quaggiù, perché ce l’ha: perché “su” ha tutto ormai, partecipa alla Gloria di Cristo in diretta.

Però di sicuro non ci abbandona perché gli interessi di Cristo sono questi e c’è l’intercessione dei santi.

Di Enzo conservo anche il rapporto con Giussani, le arrabbiature di Giussani.
E quindi i miei ricordi di Enzo sono di una persona molto vivace. Una persona di una grande passione, di una grande intelligenza.

Il pensiero che avevo oggi è che il dono più grande che può capitare qui questa mattina, a Bologna, è che riaccada quello che è successo a Enzo. Enzo è grande per quello che ha trovato, era grande per quello che aveva trovato. Trovare quello che Enzo ha trovato è il dono più grande che può capitare a ognuno di noi. Perché il problema della vita è trovare la cosa grande che la riempie. Il segreto della vita è tutto qui! Nella vita si possono fare tante cose, ma non sono le cose che facciamo che possono riempire la nostra vita. Piuttosto è trovare quella cosa che è la misura del nostro cuore, la misura del nostro desiderio. lo questo l’ho sempre avuto, questa cosa qui l’ho avuta da bambino, sempre. Perché nasce con l’uomo. Nella mia epoca era più facile perché anche nella scuola una certa capacità ideale veniva comunicata, la vedevi in certi personaggi. lo, per esempio, ho avuto professori che lasciavano la pelle lì per noi, la loro vita era la nostra vita! Cresciuto, anch’io ho fatto il professore e tante cose le ho fatte ricordando quello che avevano fatto con me alcuni di questi personaggi, di questi grandi maestri.

Ho avuto la fortuna di trovare persone così, che destavano questa statura umana che viene definita dal desiderio. Questa mattina pensavo che questo Gruppo Amistad può essere una cosa grande, ma mi tradirei se non comunicassi quello che c’è dietro. E penso alla scuola di comunità che stiamo facendo seguendo il libro di Giussani, perché Giussani è stato la fortuna della nostra vita: averlo frequentato, averlo conosciuto, essere stati suoi amici, aver condiviso con lui tante cose permanentemente, tutte le settimane, ci ha dato una versione del cristianesimo totalmente unica – purtroppo unica, perché desidererei che non fosse unica –. Dico sempre che la fede non si può perdere, perché le cose che valgono non si perdono. Perdiamo o buttiamo quello che non ci serve e quindi, quando uno vive la fede come se non fosse per la vita la butta, l’abbandona, la lascia perdere.

Se Cristo non c’entra con la vita è un dualismo, è una fede per l’Aldilà, non è per vivere meglio questa vita: e quindi non ha nessun interesse. Noi, trovando Giussani, abbiamo trovato uno che ci ha fatto capire che quello che grida dentro di noi c’è, e che fa più belle le cose, rende più vere tutte le cose, rende più possibili e vivibili tutte le cose.
Enzo viveva questo.

L’impeto di Enzo c’era. Quello che passava per suo temperamento però era molto di più: era un temperamento che aveva trovato questa cosa qui, che realizzava la sua vita. A mio avviso questa è la vicenda più interessante. Facendo scuola di comunità mi colpiva molto una frase – non ricordo se fosse di Newman o di altri – che era citata da Giussani e diceva: “Noi siamo più fortunati dei primi cristiani perché abbiamo molti più elementi rispetto a loro. I primi cristiani hanno conosciuto soltanto Lui, alcuni poi hanno conosciuto gli Apostoli, mentre noi abbiamo conosciuto Lui, abbiamo conosciuto gli Apostoli, ma poi abbiamo conosciuto una catena immensa di gente eccezionale che sono i santi.” Perché i santi sono il compimento dell’umano, una vita compiuta. Il santo è un uomo compiuto. Ed Enzo è uno di questi. Noi abbiamo conosciuto Enzo, che è un uomo compiuto.

Enzo non si controllava molto, Enzo non faceva finta di non avere certi limiti, certi difetti. lo mi ricordo certe discussioni con Vittadini, con Cesana… meno male che siamo “Comunione e Liberazione” perché se fossimo “Divisione e Oppressione” la discussione sarebbe stata mortale. Non facevano finta di non avere difetti, di non avere limiti. E anche questa è una conseguenza dell’incontro con Giussani, perché Giussani ci ha fatto capire che la bellezza del cristianesimo si deve ad una risposta realistica alla vita, all’umano. E quindi lui parte dal punto in cui diceva che è un’antropologia.

lo ho vissuto un’esperienza di autogestione, ho vissuto il comunismo vero, perché il comunismo vero è il comunismo libertario, il comunismo che cerca di salvare la libertà, e il top di questo ideale è l’autogestione. lo ho fatto l’esperienza dell’autogestione in una cooperativa di cinquanta impiegati dove tutto era di tutti, dove pure i posti di responsabilità erano a rotazione: una pazzia perché se uno non ha capacità per fare il direttore, tu puoi nominarlo direttore, ma rimane una catastrofe.

Per evitare la tentazione del potere si arrivava a quel livello. E lì chi faceva i pacchi, il magazziniere, che aveva due figli, guadagnava più di me che allora ero il direttore e avevo una carriera universitaria. Ed io ero contento, perché era una cosa che facevo in modo volontario. Lì era il compimento del pensiero di Marx che diceva: ognuno dia secondo le sue capacità e riceva secondo il suo bisogno. Quindi chi aveva più capacità metteva di più nel calderone e chi aveva più bisogno prendeva di più dal calderone. E io ero d’accordo tanto che non mi sentivo insultato perché prendevo di meno.

Finché un giorno – ero direttore – avevo fatto un ordine di articoli e me ne erano arrivati altri. Si può sbagliare. Un’altra volta avevo fatto un ordine due mesi prima e ancora non era arrivato niente: colpa del magazziniere. Ma allora cosa succede? Perché qui non c’erano né sfruttatori né sfruttati, casomai se c’era uno sfruttato ero io perché avevo più capacità di lui e prendevo meno di lui. E Iì mi si è alzata l’antenna e ho cominciato a capire. Mi sono chiesto: perché non lavora? E ho fatto una scoperta terribile: ho scoperto che esisteva la pigrizia. Questo non lavora, non perché è uno sfruttato, ma perché è un pigro. Esiste la pigrizia.

Oppure c’era un altro che non lasciava crescere la gente perché era invidioso. E lì cominciai a capire che Marx e Bakunin non avevano fatto il conto con l’antropologia, con il problema antropologico: perché l’invidia esiste, perché esistono i capitalisti, l’invidia è dentro di noi, l’odio è dentro di noi. Ho trovato Giussani mentre ero in questa crisi profonda della mia vita, e vedevo che lui aveva fatto i conti con questo, e nel libro “Moralità memoria e desiderio” diceva: “Noi la moralità la possiamo vivere soltanto come tensione, come ‘tensione per’. Come un diagramma che va su e giù, però l’importante è che sia sempre ascendente. Va su e giù però la vivi come tensione e noi la possiamo vivere soltanto così.”

Questo è il motivo per cui quello che ti definisce non è quello che fai, ma c’è un Altro che ti ama e che ti abbraccia pure nel male che fai. Questo è quello che mi ha fatto capire che Giussani è l’uomo meno ipocrita che io ho conosciuto nella mia vita. Questa idea su chi siamo e come possiamo vivere ed essere morali non è il sogno di fare finta di essere buoni e di essere bravi, ma è uno che vive come te, con una libertà totale.

Enzo era così. Enzo non faceva finta di non avere limiti: quando si arrabbiava, si arrabbiava. Aveva scoperto Cristo in questa modalità del carisma di Giussani, che ti fa vivere e che corrisponde all’esperienza per cui non puoi vivere in un altro modo.
Per cui se uno dice “ci sono dei santi, però hanno peccato” si sbaglia! Qui, tranne la Madonna, tutti hanno peccato. Mi ricordo che una volta Angelo Scola raccontava: “Sono arrivato a Venezia e sono andato a confessarmi dal penitenziere maggiore – in tutte le diocesi c’è un prete che è il penitenziere maggiore ed è colui che ha il potere di perdonare i peccati più gravi: aborto o omicidio –.

Vado a confessarmi dal penitenziere maggiore e gli dico: “Guardi, quando io penso ai santi, quelli che vivevano la memoria di Cristo permanentemente (da come ci raccontano), e a San Filippo Neri, mi sento veramente un verme.” E allora il penitenziere maggiore mi ha detto: “Patriarca, guardi, io penso che tutte quelle cose siano balle. lo non penso che San Filippo Neri vivesse la memoria di Cristo permanentemente, mi scusi: penso che siano balle dei biografi. Perché qui, tranne la Madonna che è stata preservata dal peccato originale, tutti, compreso San Giuseppe, hanno fatto una grande fatica!”

E quindi quello che Enzo viveva era un cristianesimo così, un cristianesimo che ti permetteva di essere te stesso e che ti portava al compimento dell’umano. Perché la vita di Enzo va molto più in là – anche grazie alla moglie – della sola professione, e questo permetteva il compimento dell’umano. I santi sono questo: gente che ha compiuto una vita. Una vita che va al di là, perché comprende il centuplo quaggiù per te e per i tuoi.
Questa è l’altra cosa: chi pensa di risolversi la sua vita per conto suo dovrà fare i conti con se stesso, ma chi si occupa delle cose di Cristo – “cercate il Regno e il resto vi sarà dato con sovrappiù” – avrà il centuplo quaggiù.

Io tante volte ho pensato che questo fosse importante, che mi interessasse vivere la vita così, perché la fatica della vita, le difficoltà nella vita sono due.
La prima: riuscire a mantenere vivo il grande desiderio della vita, la grande spinta della vita, cioè che tutto è poco per me. Desideravo finire gli studi di filosofia o di sociologia: l’ho fatto, ma si scioglieva come un pezzo di ghiaccio al sole. Non mi bastava!
Tutto è poco per te. Se uno si accontenta è morto! Se uno si accontenta di quello che ha, di quello che possiede, e non sperimenta più questa spinta, pure se avesse il mondo intero e tutto quello che c’è dentro, è morto. Come diceva Dostojevski: “Tutto quello che c’è dentro questo mondo è poco per me”.

Questa è la prima cosa. E la seconda cosa della vita è trovare quello che riempie questo cuore. Perché due sono le cose importanti nella vita: la prima è avere un cuore così, un desiderio così e la seconda è trovare quello che compie questo desiderio. E questo è l’incontro: io ho trovato una cosa, io ho trovato Uno che è questo filo rosso che unisce tutte le cose.

Il problema della vita è trovare Dio, è che per te quello che facciamo qui adesso c’entra con il tuo bambino, c’entra con il lavoro che farai domani, con le ferie e con tutto – infatti le ferie te le godi quando ti piace lavorare, quando hai il significato del lavoro –.
Cristo è questo. Cristo è il filo rosso. I santi sono questo. Enzo ha trovato questo: ha trovato Uno che univa la vita, che era il significato della vita. E ti faceva vivere tutto con questa passione. Con questa passione, con questa creatività.

E poi con una capacità di preferenza per le persone. E questa è l’altra questione, finisco con questa. Non si può essere un grande educatore, né un grande costruttore senza la capacità di preferenza. Ma una capacità di preferenza che è così in tutti i campi. Pensate a coloro che vanno a vedere le partite di calcio dei bambini piccoli, quelli che vanno a individuare i bambini che possono diventare campioni e a uno gli dicono: tu vieni a giocare con la squadra giovanile del Real Madrid. È una preferenza!

La cosa che mi impressiona di Giussani è che questa unità con la quale lui viveva la vita è la conseguenza della verifica che la vita funziona così. Cioè: non è così perché noi siamo cristiani. È per scelta.

Mia moglie è fisioterapista, faceva la fisioterapia a Don Giussani. Perché un uomo di questo calibro dedichi un’ora della sua giornata alla fisioterapia, occorre che sia molto certo del beneficio, altrimenti non lo farebbe. E quindi faceva un sacco di domande. Domandava in tutto, domandava in tutte le cose. “E questo perché? E questo? E cosa c’entra questo? Stai tomando qui e questo va lì. Perché lo fai? ” E allora le diceva: “Caspita, è affascinante! Perché vedi che la verità funziona allo stesso modo in tutti i campi. La verità è totalizzante! Questo di fatto è il punto: si è affascinati perché è così.”
E la preferenza è così, in tutti i campi: dal niente ricostruisci una vita, è uno che ha preferenza per qualcuno.

La preferenza fa parte del metodo di Dio nella storia. Dio ha voluto salvarci preferendo Abramo, poi Mosè e poi Isaia, i profeti. Ha inviato il Figlio e il Figlio ha scelto i dodici, no?

Enzo era così, era uno che aveva la preferenza, era capace di preferenza. Ricordo la prima volta che sono andato a Bogotà: c’era un tipo strano, però vivace. Gli avevano tagliato un orecchio. Lavorava con gli smeraldi. Iano era uno che era “la preferenza” di Enzo. Ha avuto problemi con i trafficanti di smeraldi, allora ho detto a Enzo: “Quello li è a rischio! Gli hanno tagliato un orecchio, che nel linguaggio mafioso è un messaggino”. Mi risponde: “Quello lì è bravo, lo chiamo, lo faccio venire”. Enzo non abbandonava nessuno. lano era andato li, ma Enzo era interessato alla sua vita e per lano Enzo era una paternità.

Enzo ha sperimentato questa preferenza su se stesso con Giussani. Giussani era molto, molto affascinato dalla sua personalità e dal suo cuore, dalla sua famiglia e da tutto quello che era suo e dei suoi. La vita si costruisce con gente così.

Ognuno di noi può aiutare queste persone di Humocaro e vi dico che quello che fate è molto, per me. Sono stato lì e l’ho visto: è gestito bene ed è gestito a livello educativo. Non è soltanto una beneficenza, è una paternità.

Si vede che è gente che si sente amata, non è solo una costruzione, non sono solo muri, ma c’è un soggetto che cura quella cosa lì. La cosa più importante non sono i soldi che possiamo dare: la cosa più importante è scoprire la cosa che ha generato Enzo e che Enzo genera. Questa è la cosa più importante! Questo è il regalo più grande.

Quello che riempie il nostro cuore è la cosa più grande che ci può capitare. Quello che unisce tutte le cose della vita, le cose buone e le cose cattive: quel filo rosso che per noi ha un nome, è una Presenza.

Appunti non rivisti dall’autore

* Il Gruppo Amistad nasce all’inizio dell’anno 2000 su intuizione di Suor Anna Minghetti, che propose ad alcune famiglie di adottare a distanza bambini della zona di Humocaro in Venezuela – dove vive come monaca una sorella di Enzo – per testimoniare con un gesto la memoria del dono immenso dell’amicizia ricevuta da lui. Oltre alle adozioni, il Gruppo ha contribuito all’attività del Centro medico pediatrico “Angel de la Guarda”, inserito in un progetto AVSI che comprende un Centro educativo ed un ambulatorio odontoiatrico.