Un filo che lega tutto

Il nuovo progetto scientifico cui saranno destinati i fondi del “5 per mille” raccolti dalla Fondazione Piccinini, sarà coordinato dal professor Giampaolo Ugolini, uno dei “ragazzi” di Enzo e oggi primario di chirurgia all’Ospedale di Ravenna, che qui spiega le ragioni umane delle sue scelte professionali.

Qualche anno fa, mi sono occupato di un paziente anziano fragile. Non ho mai potuto operarlo, perché purtroppo la malattia era molto avanzata ed è ulteriormente progredita durante il ciclo di radio-chemioterapia neoadiuvante che era stato iniziato nel tentativo di rendere la malattia operabile. Il senso di impotenza è stato enorme; avrei voluto poter fare molto di più per aiutarlo e l’unica cosa che ho potuto fare è stato aiutare lui e la moglie ad essere consapevoli della gravità della malattia e dare alcune indicazioni e contatti per essere supportati durante la malattia attraverso la rete delle cure palliative. Qualche volta mi è capitato di andarlo a trovare durante i vari accessi in ospedale o in Pronto Soccorso, durante il progressivo peggioramento della malattia.

Tutto questo è ben poco rispetto a quanto si aspetta di poter fare un chirurgo che si occupa di pazienti oncologici. Eppure, qualche mese dopo la sua morte, la moglie mi inviò una lettera di ringraziamento che mi lasciò stupito. “Sento profonda l’esigenza – scriveva la vedova- di esprimere, anche per iscritto, quanto sento nel cuore. È un forte grazie a lei, che, fin dal primo istante, è stato punto centrale di riferimento, si è fatto carico di ogni tipo di organizzazione pratica, sostenendo, proteggendo, custodendo, quasi vero angelo custode in terra, il mio amato Alberto, mettendosi sempre sulla sua lunghezza d’onda nelle varie fasi che stava vivendo, per non mollare se Alberto sperava e voleva lottare, o spronandolo se era in fase depressiva. Piccole cose, ma importantissime e immense, che ci hanno permesso di non sentirci mai soli, mai abbandonati, mai ingannati, ma incoraggiati a tener duro, mai la speranza ci è stata rubata, anche nei momenti finali. Gli è stato permesso di vivere con dignità e in pienezza perché riconosciuto e contattato come persona unica e irripetibile”.

Avevo la percezione di aver fatto ben poco (anzi quasi nulla) ma leggendo la lettera mi sono reso conto quanto quel poco che pensavo di aver fatto avesse invece avuto un valore enorme per quel paziente e per i suoi cari.

In realtà non avevo fatto altro che provare ad imitare un po’ di quello che avevo visto fare tante volte da Enzo, e di quanto fosse importante avere memoria e cercare di ripercorrere la modalità in cui Enzo ci aveva insegnato a stare di fronte alla malattia e ai nostri pazienti e ai loro familiari.

I pazienti erano perfettamente consapevoli ed estremamente grati di come Enzo li considerava.

Lo conferma ciò che accadde il 27 maggio 1999. Poche ore dopo la morte di Enzo (avevo 35 anni ed ero in quel momento il più anziano del gruppo) sono dovuto andare a fare il giro in reparto e a comunicare a tutti i suoi, i “nostri” pazienti (Enzo ci teneva che guardassimo tutti i pazienti come se fossero i nostri pazienti ‘personali’) quello che era successo. Alcuni dovevano ancora essere operati e avevano fatto in alcuni casi centinaia di chilometri per venire da lui!

Una paziente operata da Enzo, vedendoci tutti così provati e sconvolti ci dice in maniera del tutto inaspettata: “Ragazzi, capisco che siate tristi ma ora voi avete una grossa responsabilità! Io ho girato tanti ospedali, ho subìto tante operazioni. Al di là dell’esito positivo dell’intervento che mi ha fatto il dr Piccinini, volevo dirvi che non ho mai visto un gruppo di medici e infermieri lavorare insieme in questo modo, con un clima così sereno tra voi e così adeguato per noi pazienti sia professionalmente che umanamente. Essere curati in un luogo come questo è quello che ogni paziente desidera. Vi chiedo di non smettere di lavorare in questo modo e sarebbe bello che ognuno di voi potesse andare in un ospedale diverso e iniziare a costruire qualcosa di simile a ciò che ho visto!“.

Da allora è come se fosse stato chiaro per ognuno di noi il compito che ci aveva lasciato Enzo. È come se ci fosse stato chiesto di farci avanti e di provare a fare questo mestiere tenendo presente la bellezza, la passione, la dedizione al lavoro che avevamo imparato da Enzo.

A volte devono passare tanti anni per riuscire a comprendere meglio il senso delle cose che accadono, per riuscire a cogliere il filo che lega tutte le circostanze che capitano nella nostra vita.

Ora, a oltre vent’anni dalla sua scomparsa, è evidente che Enzo è sempre stato al mio fianco, nel senso che quel forte desiderio di costruire qualcosa di grande non mi ha mai abbandonato. Pian piano è diventato sempre più chiaro che il modo migliore per mantenere viva quella tensione ideale era prendere sul serio le circostanze e i fatti che mi capitavano, sostenuto da una incredibile rete di amicizie, in Italia e nel mondo, che Enzo mi aveva lasciato.

Giampaolo Ugolini – Fondazione Enzo Piccinini