IL MODELLO DELLA “SUSSIDIARIETÀ CIRCOLARE” PER GUARIRE LA SANITÀ ITALIANA

di Lisa Bellocchi

La Fondazione Piccinini sceglie ogni anno una personalità̀ per insignirla del Premio intitolato ad Enzo e destinato ad onorare i “maestri del nostro tempo” nei campi della cura, dell’assistenza e dell’educazione.

Il Premio 2019 è stato assegnato all’economista prof. Stefano Zamagni, notissimo docente dell’Università̀ di Bologna, “padre” della legislazione italiana sul volontariato e sul Terzo Settore e recentemente scelto da Papa Francesco come Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.

La cerimonia di consegna è avvenuta nel corso di un convegno svoltosi al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, dedicato a “quel minuto in più̀” di attenzione (al paziente, alla ricerca, all’educazione dei giovani) che fa la differenza nella professione del medico, valorizzando l’umanità̀ del sanitario stesso e del malato, in una relazione che non lascia mai solo nessuno.

Il prof. Zamagni nell’occasione ha tenuto una “lectio magistralis” su come un sistema sanitario che vuole mantenersi universalistico e sostenibile debba e possa uscire dal dualismo pubblico-privato.

Il relatore ha esordito ripercorrendo la nascita del Servizio Sanitario Nazionale, figlio di un modello ipoteticamente buono, ma determinato da una concezione materialistica, che disconosceva le dimensioni relazionale e spirituale della persona, accettandone solo quella corporea, e che perciò̀ ben presto dimostrò la propria fallibilità̀ sociale e l’insostenibilità̀ economica.

Nel 1978, ha spiegato Zamagni, la riforma sanitaria italiana fece riferimento alla concezione inglese di garantire il cittadino “dalla culla alla bara” (Rapporto Beveridge, 1942), ma in un decennio questo modello si rivelò insostenibile economicamente; perciò̀ la sanità fu “aziendalizzata”, con la nascita delle ASL. Gli economisti in questo hanno una grande colpa, perché́ hanno trasferito pari-pari alla sanità il modello tayloristico/ fordistico della fabbrica e della catena di montaggio, per migliorare un’efficienza mal definita. L’efficienza, che dev’essere “il modo migliore per ottenere un fine”, è diventata un fine essa stessa, generando uno scollamento dallo scopo vero del sistema sanitario, che dev’essere guarire e/o accompagnare la persona.

In un mondo che dava risposte inadeguate alla domanda (lunghe liste d’attesa, rapporto medico-paziente insoddisfacente, costi comunque esorbitanti) di anno in anno si è progressivamente ampliato il ruolo del privato profit.

La situazione – garantisce Zamagni- non è più̀ affrontabile con il riformismo, buono per i tempi normali; occorre una “strategia trasformazionale”.

Un nodo cruciale è costituito dal finanziamento della ricerca. Oggi in Italia si spendono annualmente 3 miliardi di euro per la ricerca sanitaria: 1,4 mld viene dalle aziende farmaceutiche, 300 milioni dagli enti non profit, 1,3 mld al 50% dallo Stato e 50% da strutture estere (UE). Dunque lo Stato interviene dunque per appena 600 milioni. Un’altra grave lacuna – ha proseguito Zamagni- è costituita dal fatto che nel nostro Paese la spesa sanitaria è vista solo come spesa di consumo e non come spesa di investimento. Le più recenti ricerche hanno invece dimostrato che una migliore copertura sanitaria della popolazione genera un miglioramento dell’economia.

Gli americani parlano a questo proposito dell’opportunità̀ di un modello “a tripla elica”, con l’interazione del pubblico, del privato profit e del privato non profit. Questa “tripla elica” sembra una novità̀, ma in realtà̀ è stata “inventata” in Italia a fine ‘200 da Bonaventura di Bagnoregio (il successore di San Francesco) e si può̀ efficacemente chiamare “sussidiarietà̀ circolare”. Ne tiene fortemente conto la riforma del Terzo Settore, varata il 2 agosto 2017 (e purtroppo boicottata dal precedente governo con la mancata pubblicazione dei decreti attuativi), che passa dal regime concessorio (“io ente pubblico dico a te privato in che modo puoi collaborare con me”) a quello del “riconoscimento” (“io, privato, informo che intendo fare quest’opera e tu, pubblico, potrai venire a controllare se ottempero alle leggi”).

Già Aristotele – ha concluso il prof. Zamagni – sosteneva che per fare il bene non bisogna chiedere il permesso a nessuno. Occorre invece recuperare il senso individuale del prendersi cura, della responsabilità̀, della voglia di caricarsi sulle spalle il res pondus, il peso delle cose.