Chiusura della fase diocesana della causa di canonizzazione di Enzo Piccinini
22 febbraio 2025 – Duomo di Modena
Trascrizione dell’omelia di S.E. Mons. Erio Castellucci, Arcivescovo Abate di Modena – Nonantola e Vescovo di Carpi
La svolta avvenne quando si sentì dire: “il tuo problema è che non sai offrire”. Se lo sentì dire dopo un’esperienza tremenda, di quelle che mettono alla prova i medici coscienziosi e affezionati ai pazienti. Enzo aveva tentato di guarire, di salvare il papà di un amico che però, dopo un anno di ripetuti interventi chirurgici, morì. Una sconfitta umana e professionale che si insinuò vistosamente nel suo cuore. Don Giussani se ne accorse, gliene volle parlare cercando di capire il motivo della sua tristezza. Enzo la buttò sulla necessità di pregare di più per rafforzarsi in queste prove. Ma don Giussani spostò decisamente l’asse del discorso, con quel rimprovero: “il tuo problema è che non sai offrire”. Di lì è partita quasi una seconda conversione di Enzo, da cui è approdato a questa ripetuta confessione: “è una gratitudine che caratterizza la mia vita”. Quasi il suo testamento, che non ha però il tono triste di un testamento, ma ha al contrario il tono appassionato di una dichiarazione d’amore: “è una gratitudine che caratterizza la mia vita”.

Don Erio Castellucci, Arcivescovo Abate di Modena e Nonantola
La passione, seminata dal Signore a piene mani nella persona di Enzo – una passione indomabile, debordante, talvolta esagerata –, questa passione era, nel suo fondo più vero, gratitudine: debordava perché grato, traboccava di gratitudine. Ci sono due modi di vivere, ce lo ha appena detto Gesù nel Vangelo: si può vivere calcolando, oppure si può vivere ringraziando. Chi calcola dice: “odiate i vostri nemici; fate del male a chi vi odia; maledite chi vi maledice; percuotete chi vi ha schiaffeggiato; punite chi vi strappa il mantello”. Chi vive calcolando cerca sempre di pareggiare i conti: occhio per occhio e dente per dente. Invece chi vive ringraziando si sente già ricompensato, già traboccante dei doni ricevuti, ed è, semplicemente riconoscente. Non prova odio verso i nemici, perché nel suo animo sono tutti amici, anche chi la pensa diversamente. Il grato non ha voglia di maledire, perché dal Signore si riconosce benedetto; agli schiaffi non reagisce percuotendo, ma presentando l’altra guancia, quella del dialogo e del perdono, perché si sa perdonato da Dio. La gratitudine non ha tempo da perdere con i conteggi, con le vendette, con le ripicche, con i risentimenti e le rivalse: la gratitudine cerca solo di generare vita, di iniettare speranza nelle vene di un mondo spesso ingrato, insoddisfatto e vendicativo.
È Gesù stesso, del resto, a metterla sul piano della gratitudine: “Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Se fate del bene a quelli che lo fanno a voi, che gratitudine vi è dovuta? Se prestate a coloro da cui sperate di ricevere, quale gratitudine vi è dovuta?”. La gratitudine che supera il dovuto – come Enzo ci ha mostrato – non è data automaticamente con la fede in Cristo: la si guadagna con la fede in Cristo vivo. Don Giussani infatti gli aveva chiesto, vedendolo giù di corda per quell’insuccesso: “Ma ci credi che Cristo è vivo?” Quando Cristo è solo un valore o un personaggio non riempie il cuore di gratitudine. È un Cristo vivo, risorto, presente, che riempie il cuore, che lo fa traboccare. Un ragionamento bello può convincere, ma non appassiona. Un amore vero infiamma e ossigena la vita.
La passione per Cristo vivo e per la Sua Chiesa, non l’amore astratto; la gratitudine traboccante per i doni ricevuti, con il solo desiderio di renderli generativi per altri; l’indomabile riconoscenza verso il Signore per la propria vita, la propria sposa, i propri figli, i compagni di cammino, gli eventi di ogni giorno: questa mi sembra la testimonianza di Enzo, che la nostra Chiesa locale riconosce evangelica, consegnandola ora al discernimento della Chiesa Universale.