S. Messa XXVI Dies Natalis del Servo di Dio Enzo Piccinini

S. Messa in occasione del XXVI Anniversario del Dies Natalis del Servo di Dio Enzo Piccinini celebrata dall’Arcivescovo Monsignor Giacomo Morandi, nella Cattedrale di Santa Maria Assunta, Reggio Emilia

Sabato 24 maggio 2025

Omelia di Monsignor Giacomo Morandi

Arcivescovo di Reggio Emilia

La pagina evangelica che abbiamo appena ascoltato fa parte di quel lungo, intenso e appassionato discorso che Gesù rivolge esclusivamente alla sua comunità, la comunità degli Apostoli, che di lì a poco dovrà accettare che il Signore sarà consegnato nelle mani degli uomini. In questo contesto, Gesù intende rassicurare i suoi amici, perché ha annunciato, appunto, la sua partenza. Proprio all’inizio del capitolo quattordici troviamo questa espressione che verrà ripresa anche al termine del medesimo: «Non sia turbato il vostro cuore. […] Vado a prepararvi un posto[1]»

È inevitabile che sorga spontanea una domanda: se il Signore lascia e parte, come i discepoli potranno mantenere viva una relazione, un’amicizia con Lui? La sua partenza significa rottura di una relazione, di un rapporto? È una domanda che evidentemente attraversa il cuore dei discepoli e Gesù intuisce lo sconforto e forse anche lo sgomento sul volto dei suoi amici.

Ecco perché Gesù assicura e rassicura la sua comunità che non verrà meno questo rapporto e questa relazione, perché Egli pregherà il Padre, che invierà un altro Paràclito[2]. Abbiamo ascoltato: «il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto»[3]. È il Paràclito, il Consolatore, lo Spirito di Verità che garantisce la continuità e l’amicizia tra Gesù, il Risorto, e i suoi discepoli. Egli insegnerà ogni cosa: lo Spirito Santo è il grande maestro e protagonista della vita del discepolo. Egli insegna e fa memoria: sono due espressioni importanti, o meglio, due azioni importanti, perché ci dicono che la vita cristiana è rapporto, è relazione con il Signore, garantita dal Paràclito, e nello stesso tempo è memoria vivente, operante, del Signore Risorto. Se così non fosse, il nostro essere qui questa sera non sarebbe altro che una commemorazione di un evento del passato ma che non ha alcuna attinenza, alcun rapporto con noi e con la nostra vita. Infatti, la vita cristiana è memoriale, memoriale di quell’unico evento grazie al quale noi tutti siamo stati redenti «una volta per tutte»[4] – dice l’autore della Lettera agli Ebrei. E noi entriamo in comunione con questa realtà grazie a questa infusione dello Spirito Santo.

Tra pochi istanti, invocando lo Spirito Santo, l’epiclesi sul pane e sul vino che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo, noi incontreremo realmente il Signore Risorto. Non dobbiamo mai dimenticare la grandezza e la bellezza e il fascino di quella fede che in ogni istante della nostra vita ci assicura questa amicizia e rapporto con Cristo. È in questo contesto memoriale, dunque, che noi oggi ricordiamo il Servo di Dio Enzo Piccinini.

Una vita intensa, appassionata, consumata e spesa per amore di Cristo e della sua Chiesa. Io non ho conosciuto personalmente il Servo di Dio Enzo, ma ho avuto occasione di leggere e di approfondire alcune sue riflessioni che, pur maturate in un contesto particolare di esperienza ecclesiale, sono e continuano ad essere per la Chiesa di oggi un importante punto di riferimento per il nostro cammino ecclesiale. Enzo ha colto con chiarezza e lucidità che il cristianesimo, l’esperienza cristiana, non può essere ridotta a regole morali, anzi, afferma con un’espressione che mi ha colpito che «se c’è un delitto nella vita cristiana, è pensare che basti osservare i dieci comandamenti per andare in Paradiso»[5], perché in realtà è Cristo il centro. Sono le sue parole: «Cristo è tutto per la vita dell’uomo. Tutto. Non ci può essere niente nella vita di un uomo, che ami fino in fondo e con lealtà la propria umanità, che possa esimersi dal rapporto con Cristo, perché è il cuore della vita di ogni uomo – e continua – Se ho scelto di stare nell’esperienza cristiana, è perché qui trovo tutto me stesso, quello che ho sempre cercato»[6].

È Cristo il centro; e la vita cristiana è rapporto, relazione con Cristo, da cui evidentemente nasce e scaturisce una vita nuova. Ecco, credo che questa prima grande intuizione spirituale che Enzo ha maturato e che ha vissuto nella sua vita costituisca oggi per la Chiesa e per ciascuno di noi un’eredità preziosa. Quando siamo tentati di ridurre l’esperienza cristiana a dei valori, a qualcosa anche di importante, ma sempre caratterizzato dall’umano senza l’esperienza di Cristo, la vita cristiana perde del suo senso e del suo significato.

Vengono in mente le parole del proemio alla Enciclica Deus Caritas est di Benedetto XVI: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona»[7]: la persona di Cristo. La memoria, dunque, del nostro Servo di Dio Enzo diventa per noi anche un esame di coscienza, impone un esame di coscienza.

Possiamo parlare della nostra vita di fede in termini di relazione e di rapporto con Cristo? Possiamo utilizzare le parole dell’Apostolo Paolo «Sono stato conquistato da Cristo Gesù»[8] e parlare in questi termini della nostra esperienza? Perché tante volte – come ci ha ricordato anche Leone XIV nelle sue prime omelie – si può vivere effettivamente un ateismo pratico, dove Gesù è considerato senz’altro quasi una sorta di superuomo, ma viene privato di quella sua identità di essere Figlio di Dio, grazie alla quale noi, confessandola, siamo salvati[9].

Questa è stata l’esperienza di Enzo, maturata accanto a un altro grande Servo di Dio che è stato Don Luigi Giussani. Insieme hanno testimoniato e ricordato alla Chiesa, e in modo particolare al Movimento di Comunione e Liberazione, che non ci può essere nessuna fecondità, nessuna efficacia nelle opere, se queste non scaturiscono dalla nostra relazione con Cristo e dalla qualità di questa relazione, che non è mai individuale, ma che sempre si rende percepibile, visibile e tangibile nell’esperienza della Chiesa. «Un impegno – scrive Enzo – educativo totalizzante con la proposta che è Cristo. È la Chiesa, questa unità ed esperienza di appartenenza, di amicizia. Una vita globalmente impegnata rispetto alla proposta che è Cristo»[10]. Questo presuppone che la qualità della nostra relazione con Cristo si verifichi dalla qualità della nostra vita ecclesiale e dalla nostra appartenenza, appunto, a Cristo e alla Chiesa. C’è un intimo rapporto tra questa appartenenza a Cristo e le conseguenze che questo determina nelle nostre relazioni. Le nostre fraternità sono e garantiscono questa esperienza di Chiesa, ci aiutano a crescere come persone ecclesiali che sanno, in altre parole, anteporre al proprio interesse l’interesse del fratello e della sorella e sono capaci di intessere relazioni che sono animate e plasmate da una profonda amicizia. Parlo di quell’amicizia che non nasce da affinità umane – perché altrimenti sarebbe semplicemente un club –, ma che nasce dalla condivisione e dall’appartenenza a Gesù Cristo.

Una parola che nasce da un’esperienza di amicizia che si diffonde e anche queste riflessioni impongono a ciascuno di noi ancora una volta un esame di coscienza: le nostre fraternità, le comunità parrocchiali, i movimenti, Comunione e Liberazione, sono un’esperienza qualitativamente significativa che ci fa vedere come l’essere innestati in Cristo determina una qualità nuova delle nostre relazioni, che si rende tangibile e visibile dal modo col quale noi viviamo le nostre relazioni ecclesiali?

Enzo termina questa sua riflessione con queste parole: «Noi edifichiamo la Chiesa attraverso la nostra presenza: essere presenza, questa è la nostra ultima, decisiva indicazione e categoria. Essere presenza, qualunque temperamento uno abbia; non importa le doti di cui uno dispone, occorre la fede e basta»[11].

Mi auguro proprio che la vostra presenza nella nostra Diocesi, al di là di quelle che possono essere le caratteristiche, le doti, i temperamenti e i doni di ciascuno, sia una presenza che rivela e che manifesta un’altra Presenza, che incontrandovi le persone possano percepire che dietro al vostro essere e camminare insieme, dietro alle attività formative e iniziative che voi proponete, c’è un Altro, che si riesce a intravedere dal modo col quale voi vivete insieme, dalla vostra amicizia in Cristo.

Chiediamo dunque l’intercessione al Servo di Dio Enzo, affinché il seme gettato, che caduto in terra muore e produce il frutto, possa continuare nella memoria vivente di questo fratello – perché Enzo non è un defunto, ma è un vivente di prima classe – e voi possiate anche incarnare e vivere queste sue intuizioni, mettendo al centro della vostra vita e delle vostre comunità il Signore Gesù per mostrare «com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!»[12].


[1] Gv 14,1-2.

[2] Cf. Gv 14,16

[3] Gv 14,26.

[4] Eb 7,27.

[5] Enzo Piccinini, Il Cristianesimo è per la felicità dell’uomo. Testimonianza a Ferrara – 14 maggio 1999, p. 4, in Tracce, maggio 2004, p. 69. Disponibile sul sito https://www.fondazionepiccinini.com/.

[6] Enzo Piccinini, Il Cristianesimo è per la felicità dell’uomo. Testimonianza a Ferrara – 14 maggio 1999, pp. 1-2.

[7] Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas Est, 25 dicembre 2005, n. 1.

[8] Fil 3,12.

[9] Cf. Leone XIV, Omelia Santa Messa con il Collegio Cardinalizio, 9 maggio 2025.

[10] Enzo Piccinini, Il Cristianesimo è per la felicità dell’uomo. Testimonianza a Ferrara – 14 maggio 1999, p. 3.

[11] Enzo Piccinini, Il Cristianesimo è per la felicità dell’uomo. Testimonianza a Ferrara – 14 maggio 1999, p. 6.

[12] Sal 133(132),1.

Reggio Emilia, 24-05-2025

Omelia Monsignor Giacomo Morandi, Arcivescovo di Reggio Emilia

Fondazione Enzo Piccinini